facciata in vetro del palazzo ex casinò ora del cinema del lido di venezia

Arte Luce Vetro

Riqualificazione artistica della facciata del Palazzo del Casinò Venezia-Lido ora Palazzo Eventi o del Cinema

Dalle visioni art nouveau e moderniste al monumentalismo scenografico del ventennio, fino alla rilettura in chiave puramente artistica del Palazzo del Casinò del Lido, oggi Palazzo Eventi e della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Conservare le funzioni pure del passato e valorizzarle allo scopo di proseguire il dialogo con il presente.
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Palazzo del Cinema del Lido di Venezia costruito nel 1937
Progetto artistico del maestro artista Mario Eremita per CAOS artisti associati Venezia, presentazione di Nicola Eremita Galleria d’Arte III Millennio
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Palazzo del Casinò di Venezia-Lido costruito nel 1938

Le foto sopra ritraggono due distinte opere architettoniche, la prima è il Palazzo dedicato espressamente alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che ebbe la sua prima edizione nel 1932. Si tratta di un’opera di chiara tipologia modernista in armonioso contrasto con le architetture lidensi più tipicamente Art Nouveau o naturaliste-organiche.

La seconda invece ritrae il Palazzo del Casinò costruito l’anno seguente che, pur essendo nel solco modernista assume radicalmente le fattezze dell’architettura del regime fascista.

Il progetto di riqualificazione, essendo la prima costruzione già modificata nel 1952 e resa del tutto invisibile dall’esterno da una struttura con tratti puramente tecnici che richiede esclusivamente allestimenti provvisori in funzione della manifestazione, è rivolto al Palazzo che fu sede del Casinò e che oggi ha una funzione accessoria alla Mostra del Cinema e funzionale anche ad altri importanti eventi di rilevanza internazionale.

origini vicende e stato attuale

Si erge fronte mare questo colossale blocco di cemento rivestito di travertino nelle sue forme ormai storicizzate di epoca fascista. Il tempo lo ha infine assunto tra le architetture dell’isola del Lido, anche se le sue migliori sono di tutt’altra intenzione, essendo questo territorio una delle patrie dell’architettura organica dei primi del novecento, influenzata dall’Art Nouveau.

Il Palazzo che fu del Casinò è quindi inserto di forte contrasto e, nel precedente abbandono dell’adiacente piazzale, assumeva l’aspetto di un relitto alla deriva in un mare di degrado ed indifferenza.

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La piazza antistante il Palazzo del Casinò in condizioni disperate a causa del così detto “buco”, rimasto diversi anni in totale abbandono.
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La piazza antistante il Palazzo del Casinò così come veniva adoperata negli anni passati, un banale piazzale per parcheggio automobili

Il recupero di questa struttura è cominciato ma tale operazione dovrà essere anche l’opportunità d’introdurre a Venezia un inserto d’arte che sia contemporaneo e che quindi dia un segnale attuale della rinascita socio culturale della città ed in particolare dell’isola d’oro, che tutti si auspicano. Non basterà certo dare una ripulita o sostituire qualche tavella di marmo. Consegnare un’opera pubblica nelle sue costituenti sostanziali, nello spirito della pura necessità fisiologica, non può essere nelle corde di chi amministra una realtà come quella veneziana, con prospettive ampie ed universali, con l’attenzione e l’interesse di ogni popolo del pianeta ai suoi fatti, nel bene e nel male.

Questo genere di luoghi devono eminentemente svolgere una funzione guida, simbolica e ideale. Devono tratteggiare un possibile futuro e quindi essere ancora riferimento per il presente nell’immaginario di ognuno. Ciò non si ottiene con la semplice manutenzione o conservazione di ciò che fu ma anche con la proposizione di ciò che potrà essere e significare. Serve quindi qualcosa di nuovo di concreto e stabile che configuri altre prospettive e possibilità di riflessione, ciò che quindi potrà, in ogni teoria dell’architettura e dell’urbanistica, divenire punto di riferimento per una comunità, per la rappresentazione di un presente, per la celebrazione dei fatti e dei momenti che scandiscono lo stupendo luogo in cui si svolgono: Venezia ed il suo Lido.

In tal senso urge realizzare qualcosa d’imponente, che sia all’altezza della grandiosità del Palazzo che fu del Casinò, che sia in dialogo ed in contrasto con la retorica austera ed autoritaria di quello; che lo esalti e, nel medesimo tempo, lo addolcisca trasferendolo dai tempi lontani, di cui non va tralasciata la memoria, a tempi presenti di cui troppo spesso si dimentica che anch’essi saranno, un domani, il passato; un passato che rischia di rimanere senza alcuna valida memoria, stante la mentalità che si ostina a limitarsi nella ordinaria manutenzione e conservazione ( quando va bene ), come se oggi non si possa più osare.

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Il fantasma del Palazzo che fu del Casinò circondato dal degrado del “buco” del Lido.
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Il Palazzo che fu del Casinò dopo la sistemazione del piazzale con il rivestimento in pietra. È iniziata l’opera di riqualificazione.
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Il Palazzo che fu del Casinò nel 2018

Osservando il Palazzo che fu del Casinò una sera di fine estate, ho individuato la possibilità di riqualificazione artistica. Sono le sei ampie aperture che occupano la parte centrale della struttura. Oggi mere finestre che per molti giorni all’anno restano chiuse con delle spaventose tapparelle.

Quelle sei aperture offrono delle possibilità immense, molto più stimolanti e di pubblico valore ed interesse della prospiciente piazza, già peraltro utilizzata per un arredo urbano prevedibile ma di discreta presenza ovvero la fontana a raso con getti verticali.

Il contesto della piazza consente proprio a quelle sei aperture di essere un punto di riferimento fondamentale, al momento trascurato ignorato e declassato al semplice rango di “finestra con tapparella”.

Si consideri anche il grave stato di consunzione e degrado degli stessi infissi e la presenza di molti vetri rotti.

Le aperture vanno liberate!

In quegli spazi l’artista progetterà sei vetrate speciali e le realizzerà in collaborazione con il laboratorio vetraio. Il risultato sarà di altissimo livello e di folgorante potenza evocativa e simbolica. Non sarà la semplice o solita “scultura in piazza”; ma un tributo alla storia, all’arte, al cinema, alla musica, alla luce ed alla comunità di Venezia.

Essa trasformerà lo stesso palazzo in un esempio artistico e lo edificherà nuovamente a simbolo fluorescente luminoso, visibile a miglia di distanza in mare.

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Suggestione del 2016. Il Palazzo che fu del Casinò in previsione dell’intervento di recupero.

Osservate qui sopra una suggestione del possibile recupero del Palazzo che fu del Casinò, una visione dall’esterno. Ebbene, per quanto sia elegante, si apprezza immediatamente quanto sia anonima impersonale e modesta questa visione che inquadra le aperture solamente come tali, impegnandole con delle tende monacali.

Abbiamo invece il dovere d’imprimere un’intenzione forte ed efficace, personale, dalle potenti doti emozionali, perché qui siamo al cospetto delle arti, non frequentiamo qui una “camera ammobiliata”.

Nessuna opera contemporanea qui in Venezia potrà eguagliare la sintesi tra esigenza artistica ed integrazione col tessuto urbano sociale e con le manifestazioni di ambizione internazionale che in questi luoghi si svolgono periodicamente. Non possiamo tralasciare questi aspetti per produrre un semplice lavoro di recupero edilizio o decorativo!

Quello può funzionare in una qualunque via di un qualunque paese. Qui no!

Siamo nel centro dell’attenzione del mondo, rischiamo di perdere questa stessa attenzione con molti e funesti comportamenti d’insensibilità e disattenzione e con la nascita di nuovi simboli e mercati ( Dubai per esempio ).

La possibilità che qui, in poche scarne righe, sto esponendo, ha delle implicazioni amplissime. Non si tratta della solita opera dell’artista che staziona nella piazza, spesso più a celebrazione dello stesso autore che di una reale visione del mondo.

Si tratta di un recupero materiale ed ideale di un contesto architettonico che, pur rimanendo nelle sue linee invariato, riusa alcune sue parti per uno scopo ulteriore e superiore, non semplici fori luce ma emissari essi stessi di luce filtrata dai mestieri e dalle arti umanistiche proprie di questa nostra millenaria cultura. Un recupero materiale ed ideale!

In questo caso l’intervento artistico ed artigianale sarebbe non semplice abbellimento estetico ma ripensamento in termini scenografici ed arricchimento di simboli e significati che porterebbe il contesto al di fuori di una banale austerità, che non ha alcuna logica nei tempi contemporanei e con l’utilizzo che dei luoghi viene fatto: in particolare per la mostra del cinema ma anche per il messaggio rivolto all’esterno della laguna stessa verso il mondo.

Immaginiamo queste vetrate, illuminate con i sistemi più tecnologici in modo da sembrare animate da luce propria, una luce intensa ma non accecante, moderata e colorata dai disegni dell’artista. Questa luce inonda il piazzale e si disperde verso il mare come un ampio proiettore dedicato all’immaginazione al potere delle arti di rappresentare ogni realtà fino ad oltrepassarla costruendo altri universi di pura fantasia.

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Questa operazione di riqualificazione e di riassegnazione simbolica è in grado quindi di produrre un’interessante sinergia, coinvolgendo nella realizzazione gli artigiani del vetro e dell’illuminotecnica, in una concreta impresa dedicata proprio a quell’arte che fece della luce il suo propulsore.

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Proporzioni: l’importanza del Palazzo che fu del Casinò nel contesto urbanistico e naturalistico del Lido di Venezia si può apprezzare in questa visione aerea.

Il palazzo si dota quindi di un grande ideale proiettore cinematografico di luce delicata e persistente che amplifica la sua funzione ed arricchisce, motivandola, la propria presenza.

Questa idea sviluppa e conferisce forma e significato reale al nesso logico tra ARTE VETRO LUCE CINEMA, in un senso ciclico virtuoso. L’arte si occupa del cinema che ha come sua componente materiale l’immaterialità della luce che ha la concreta necessità del vetro per rappresentarsi in tutte le sue componenti.

Questo documento introduce una visione possibile e realisticamente attuabile della riqualificazione artistica del Palazzo ex Casinò del Lido. Assunto che l’arte, nella sua formale inutilità, abbia una profonda funzione ed infungibile e sia parte quotidiana della nostra esistenza.

Qui sotto possiamo apprezzare il progetto del maestro Mario Eremita. Il principio guida è la ocmplessità. Essa è alla base del nostro mondo, in cui i fatti si succedono vorticosamente. L’arte non può esimersi e deve assumere molteplici livelli di lettura e riferimenti estetico-formali per restare al passo e non divenire luogo di piccoli banali ed opportunistici slogan pseudo-militanti, penalizzando l’universalità del linguaggio e riducendolo a mero esercizio affabulatorio.

Ecco che qui s’introduce l’artista che interiorizza la vocazione simbolica dei luoghi ed elabora con la propria esperienza, con la storia, con la lezione degli infiniti passati-presenti ( essendo l’arte un fenomeno trascendente al tempo ordinario ).

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vetrate del Palazzo ex Casinò per la riqualificazione artistica

Inconfondibile, emotiva, dall’insostenibile levità, ironica, dove le crudezze della sua apocalittica pittura s’intuiscono solo in delicata lontananza, dove il segno, elastico e voluttuoso, prevale sulla materia del colore, la mano di Eremita è confacente al principio di complessità che deve caratterizzare l’opera.

L’idea che l’arte debba veicolare un messaggio è povera e debilitante, insufficiente. L’arte deve fornire sensazioni e riferimenti simbolici perduranti, saldi alla prova del tempo, deve fornire ricchezza estetica e culturale prima di ogni eventuale intento moralistico o celebrativo.

Eremita, col suo processo astrattivo focalizzato sulle forme umane, rievoca la civiltà greca che è depurata della sua posa storica ma riappresa. Le nove muse figlie di Zeus e di Mnemosyne risorgono tra le righe di questa narrazione luminescente, sono nel mondo e nella narrazione universale umana, al di là dei ceppi del tempo. Con esse si fondono i simboli della civiltà serenissima, il leone marciano, la personificazione di Venezia, la gondola, il ferro della gondola. Approfondiamo quindi la lettura iconografica delle singole vetrate.

Lettura iconografica delle vetrate

Si parte nel senso letterario della lettura ( lingua italiana ) dall’alto a sinistra e verso destra.

Vetrata numero 1 “Sogno e Fantasia”, il progetto è eseguito senza il colore finale. La tavola rappresenta Tersicore, musa della danza e della lirica corale, Erato musa della poesia amorosa, Polimnia musa del canto sacro. Erato suona un immaginario strumento a corda mentre Polimnia la tende intonandola al canto. Lo strumento nelle sue forme e dimensioni è parte dell’originale fantasia pittorica del maestro Mario Eremita. Tersicore, con un tamburello ed un bastone per twirling, come le attuali majorette, danza fin sulla Luna crescente simbolo della rinascita e della fertilità, in questo contesto della fertilità delle idee fantastiche. La composizione è dedicata al lato del sogno e della fantasia. Tutte le figure sono fluttuanti.

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Vetrata numero 1
“Sogno e Fantasia”

Vetrata numero 2 “Leone Marciano e Venezia”, il progetto è eseguito senza il colore finale. La tavola rappresenta il Leone Marciano e la personificazione di Venezia.

Il Leone Marciano è visto in sezione frontale con le ali simmetricamente dispiegate. Non è rappresentato come nella “moeca” ma come nella classica bandiera anche se da un punto di vista differente ed originale. Tuttavia qui, con questa assoluta simmetria e questa posa del tutto simile a quella di un Kouros della Grecia arcaica, simboleggia l’equilibrio delle istituzioni veneziane. Sotto il Leone vi sono a sinistra la personificazione di Venezia e a destra il libro poggiato su un capitello e la colomba. Ciò perché Venezia ed i valori della pace, sono assoggettati al simbolo dell’Evangelista Marco, protettore e guida spirituale.

Questa vetrata ha posizione centrale ed apicale per ricordare, in ordine cerimoniale, il territorio, le istituzioni, i valori e l’identità del popolo.

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Vetrata numero 2
“Leone Marciano e Venezia”

Vetrata numero 3 “Azione ed Immaginazione”, il progetto è eseguito senza il colore finale. La tavola rappresenta la gondola, il vogatore, il musico, la Musa Urania che sorregge il globo celeste sul quale passano in volo un’oca ed una motocicletta senza ruote con due figure a bordo.

Il fulcro della scena è Urania, rappresentata dalla figura femminile che sorregge il globo celeste. Essa è la Musa dell’astronomia e della poesia didascalica. In tal senso ella incarna letteratura e cinematografia che narrano la scienza con l’immaginazione, quindi la fantascienza. Le figure nel globo sono un riferimento formale al genio di Spielberg ma hanno anche un loro significato. L’oca è animale afferente alla dea Giunone e simboleggia curiosità ed attenzione, i centauri sulla moto che vola senza ruote interpretano lo spirito epico dell’avventura, l’istinto ideale della scoperta, l’amore per la ricerca d’ignote destinazioni.

Gondola vogatore e musico accompagnano guidano e sorreggono la scena e pare che tutto quel che accade la sopra sia a loro insaputa; infatti è così perché costoro rappresentano l’azione conscia che è la parte minore dell’essenza umana, loro sono ciò che si sa, il resto è tutto ciò che s’immagina.

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Vetrata numero 3
“Azione ed Immaginazione”

Vetrata numero 4 “il Cinema e la Musica”, il progetto è eseguito senza il colore finale. La tavola rappresenta la Musa Calliope, due putti con maschere teatrali ed un’oca, una violinista. Calliope ed i putti sono su una cornucopia. Questa Musa ispira il poema epico, la narrazione delle gesta degli eroi e delle eroine, le avventure dei corsari, dei mercanti, degli scopritori, dei coraggiosi che affrontano la vita e le difficoltà alla ricerca del proprio sogno ideale o della fama, della gloria, del potere, del successo, dell’amore, della ricchezza. Qui ella ha una telecamera rivolta all’oriente dove sorge il sole e, anche un senso metaforico, dove sorgono le narrazioni. Calliope è sensuale, anzi, glamour, vestita di soli veli alla maniera di Salomè, così come sensuale e glamour è lo spettacolo. Accanto ad ella due putti.

Il primo a sinistra ha in mano un mascherone a testa di cavallo: si tratta dell’arguzia, la forza che eleva l’intelletto. Il secondo a destra indossa un bizzarro cappello, ride ed ha in braccio un’oca: si tratta dell’ironia, che abbraccia il simbolo dell’attenzione ( oca ) che pretende per sé specialmente.

La cornucopia è l’augurio d’abbondanza per questi valori. La violinista è un omaggio alla musica che sempre accompagna le gesta ma anche un tributo a Marc Chagall che vedeva in quello strumento i grandi segreti della vita e della morte.

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Vetrata numero 4
“il Cinema e la Musica”

Vetrata numero 5 “Maschera Comica Maschera Tragica”, il progetto è eseguito con alcune suggestioni della rifinitura a colori e della piombatura. La tavola rappresenta le Muse Thalia e Melpomene a bordo di una gondola onirica di cui il vogatore ha tratti di astrazione e, sotto un immenso ferro, quasi fluido, si libra un putto gioioso che pare voler giocare, beffardo, con tutta la scena.

Thalia è la maschera comica o della commedia. È sorridente ed in posa eretta, la maschera ha forme arrotondate che ricordano un bocciolo di rosa che si sta per schiudere. Ella è la burla, l’equivoco, l’intreccio, le figure stereotipate delle maschere della Comedia de l’Arte, la buona sorte degli amanti. Dispensa promesse ottimistiche come quelle del bocciolo che sarà fiore.

Melpomene è la maschera tragica o drammatica. È contrita ed in posa distesa, la maschera ha forme spigolose che ricordano il simbolo della femminilità. Ella è la vicenda umana più reale, costellata di sofferenza, sogni spezzati, amori disperati impossibili tormentati, complotti, oscuri presagi, conflitti. Predilige il thriller, l’imprevedibilità e l’imponderabilità del futuro, la fortuna. Dispensa incertezze e misteri, è il fascino che conturba la femmina, l’amplesso non ammette il riso.

Il putto è l’innocenza dell’infanzia che, per quel brevissimo periodo dell’uomo, vive inconsapevole ed indifferente ad entrambe le Muse, intento solo a vedere il mondo.

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Vetrata numero 5
“Maschera Comica Maschera Tragica”

Vetrata numero 6 “Recitazione e Mimo”, il progetto è eseguito senza la rifinitura a colori. La tavola rappresenta Clio, la Musa di storia ed canto epico insieme al putto con un burattino, entrambi su un capitello. In basso si trova Euterpe, la Musa della poesia lirica. Le Muse di questa tavola sono le prime ispiratrici del mestiere dell’attore. Euterpe patrocina la poesia lirica e quindi il saper cantare e drammatizzare il componimento poetico o la prosa. Ella suona il classico flauto. Clio tiene tra le mani un’ampia pergamena ed è colei che rende celebri, trasforma il bravo attore, il bravo regista, il bravo artista, colui che dimostra il “saper fare” nella grande personalità che, col tempo, diverrà creatura semidivina, corteggiata ed amata dal suo pubblico, identificata come figura familiare.

Il putto col burattino ricorda a tutti noi che, tra il mestiere e la celebrità, tra i meriti e gli onori vi è sempre l’ambiguo ruolo del mimo, quella figura sfumata tra realtà e finzione, che rende l’artista capace di immedesimarsi, l’artista infatti è anche colui che è in grado di “sentire” empaticamente il mondo che lo circonda.

Euterpe è sotto il capitello mentre il putto e Clio sono sul capitello; ciò perché, in ordine, verrebbe prima il “saper fare” e dopo l’onore della celebrità.

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Vetrata numero 6
“Recitazione e Mimo”

Vetrata numero 7 “Cultura Verbale”, il progetto è eseguito senza la rifinitura a colori. La tavola rappresenta una grande gerla sulle spalle di una fanciulla. La gerla è piena di fogli di carta liberi che il vento solleva e sparge in cielo, al di sopra fluttua un putto con un aquilone.

Si tratta della personificazione simbolica della cultura tramandata verbalmente. Un aspetto fondamentale della civiltà che ha attraversato i millenni, strutturando l’immaginario di tutti i popoli del mondo. La fanciulla indossa un copricapo a foggia di ferro di gondola, idea originale dell’artista per rendere omaggio alla prima donna laureata al mondo, che fu la veneziana Elena Lucrezia Cornaro. L’aquilone è un particolare importante in quanto indica che la volontà di librarsi in piena libertà nell’universo del sapere non ha senso se questa volontà non è assecondata dal bene; inoltre fu il veneziano Marco Polo a portare in occidente la notizia di questa usanza ludica nata in estremo oriente.

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Vetrata numero 7
“Cultura Verbale”

Vetrata numero 8 “Vivaldi e Casanova”, il progetto è eseguito senza la rifinitura a colori. Posto centralmente ecco un duplice ritratto-monumento dedicato a queste immense personalità veneziane che hanno oggi grande influenza nell’immaginario collettivo e che lo avranno forse per sempre, essendo il loro impegno artistico rivolto ad una modernità universale.

Vivaldi, rischiò l’oblio e venne dimentica per oltre 200 anni. Grazie ad Alberto Gentili e Faustino Curlo l’opera di Vivaldi non fu completamente dispersa. Venezia, ancora, manca di un monumento a questo fondamentale compositore.

Casanova ebbe moltissimi meriti, letterari e politici, fu personalità complessa e poliedrica ed è, assieme al prete rosso, indissolubilmente legato all’immagine stessa di Venezia ( e per fortuna! ). Manca anche per costui a Venezia un riconoscimento alla memoria. Entrambe queste figure, così complesse ed anche controverse, secondo l’artista Mario Eremita, incarnano pienamente lo spirito delle arti universali e qui, in particolare, delle arti cinematografiche.

Casanova: artista, antieroe, scaltro, scanzonato, smaliziato, dalle mille risorse, dalle mille e rocambolesche avventure e dalla profonda intensità e nobiltà d’animo. Vivaldi, artista di potente talento, precursore e riferimento per molti altri grandi, creatore di sinfonie immortali, invidiato e avversato da molti mediocri, quasi disperso nelle voragini del tempo. Sono due perfetti soggetti per il cinema!

Sotto di loro due baute ( maschere della morte ), celebrano la vittoria dei due artisti contro l’oblio. In particolare la seconda, suonando la tromba, richiama una sorta di giudizio divino che riporta equilibrio. Sopra di loro una falce di Luna sorretta da due fanciulle ed un gattino. La Luna simboleggia la fertilità, in questo contesto la fertilità nelle opere. La falce di Luna, non essendo rivolta né a levante né a ponente, è un auspicio d’eternità. La Luna è sorretta dalle fanciulle, che furono parte importante della vita di entrambi gli artisti, codeste sono Emancipazione, che è davanti alla Luna e mostra un seno e Verecondia, che si affaccia appena da dietro il satellite. Il gattino è simbolo della vitalità e della gioia.

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Vetrata numero 8
“Vivaldi e Casanova”

Vetrata numero 9 “Cultura Scritta”, il progetto è eseguito senza la rifinitura a colori ma con le tracce delle ipotetiche piombature. La tavola rappresenta una grande gerla sulle spalle di una fanciulla. La gerla è piena di libri aperti, al di sopra fluttua un putto che trattiene dei palloncini. Si tratta della personificazione simbolica della cultura tramandata per iscritto. Un omaggio a tutti gli anonimi dotti che consentirono al sapere del passato di non essere perduto tra le pieghe della storia. La fanciulla indossa un copricapo a foggia di ferro di gondola, idea originale dell’artista per rendere omaggio a Ipazia d’Alessandria martire della libertà di pensiero.

I palloncini ci ricordano come sia labile il confine della memoria e come sia solamente un sottilissimo filo a tenere insieme le conquiste del sapere codificato, il putto che trattiene quei palloncini ci rammenta che serve la curiosità dell’infanzia per indagare il mondo.

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Vetrata numero 9
“Cultura Scritta”

Suggestione della facciata del Palazzo che fu Casinò del Lido di Venezia

Ecco qui sotto due suggestioni del risultato della riqualificazione della facciata del Palazzo che fu Casinò del Lido di Venezia oggi adibito a manifestazioni d’interesse pubblico tra le quali anche la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Le opere, ricchissime di riferimenti simbolici, culturali, estetici, dal passato al presente ed eseguite con mano d’evoluta sensibilità, non occupano alcuno spazio urbanistico, anzi, sono parte di un dispositivo funzionale quale le vetrate del palazzo medesimo ( avendo quindi anche il prosaico “valore d’uso”, sempre apprezzato dai pragmatici ).

Esse sono poste in una posizione di completa godibilità pur non essendo nel centro geometrico degli spazi tridimensionali. L’opportunità di renderle luminescenti, consente di far assumere loro un significato indicativo e di formidabile capacità emozionale.

Con questa soluzione possiamo introdurre l’opera d’arte del nostro tempo in un contesto in cui gli spazi sono già destinati a necessità pratiche irrinunciabili ( la sala cinematografica prefabbricata nella parte libera del piazzale ), valorizzando un manufatto di significato storico senza alcun travisamento dello stesso o del suo prospetto ( ad esempio imponendo sullo spazio antistante delle opere scultoree ) anzi, arricchendolo di una caratteristica che esso, nelle intenzioni celebrative, aveva espresso solamente a livello potenziale.

Infatti, la monumentalità della facciata centrale era sostanzialmente annichilita dalla banalità delle semplici finestrature, rimanendo il ruolo celebrativo limitato alle sole strutture portanti.

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    Trofeo di Nike

    Trofeo dedicato al ciclismo ed alla stampa specializzata realizzato da Mario Eremita

    La famosa azienda Campagnolo srl e l’Associazione Internazionale dei Giornalisti del Ciclismo ogni anno scelgono un artista per realizzare un trofeo che rappresenti sinteticamente i valori del ciclismo e della stampa specializzata sportiva. Nel 1985 fu prescelto l’artista Mario Eremita che eseguì la “Nike del ciclismo e della libera informazione”.

    nike ciclismo informazione di mario eremita per campagnolo srl associazione internazionale stampa sportiva

    la “Nike del ciclismo e della libera informazione” fu consegnata il 14 novembre 1985 a Bernard Hinault che ad oggi è il più grande campione della storia del ciclismo francese.

    bernard hinault nike del ciclismo e della libera informazione campionato ciclismo francia italia 1985 campagnolo srl mario eremita
    Presentazione dell’opera

    La scultura è stata eseguita con legno di cirmolo acciaio e argento. Rappresenta una testa alata di Nike, le ali sono alla maniera del Mercurio, sporgono dai lati del cranio e sono realizzate con i mozzi Campagnolo e fili d’argento, il busto e le spalle della figura sono idealizzate come i fogli dei giornali e realizzate con lastra d’argento battuta a mano. L’insieme è di altissimo livello di raffinatezza e pregio stilistico ben oltre la classica retorica del trofeo ma saldamente posizionato nell’ambito della scultura artistica più autentica.

    Rassegna stampa

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      header casa campello murale di mario eremita

      Casa Campello

      abbellimenti artistici, dipinto murale presso Casa Campello, Venezia “Tango”

      Si tratta di un dipinto murale eseguito presso la residenza della sig.ra Francesca Campello a Venezia. Appassionata di danza ed in particolare del tango, la sig.ra Campello ha desiderato avere sempre con sé una dedica alla profonda tradizione argentina, rioplantense, uruguayana e francese.

      murale a casa campello mario eremita venezia

      La composizione rappresenta tre artisti, due danzatori intenti nella coreografia del tango ed una donna seduta accanto mentre suona il bandoneon, strumento caratteristico della tradizione milonguera. Particolare ed intenso è il drappeggio dello scialle nero che in passato era il più comune accessorio delle donne veneziane.

      murale tango di mario eremita presso casa campello venezia

      Le tonalità calde e vivaci rimarcano il momento di intensa passione e tensione creativa mentre il cielo stellato richiama al desiderio di libertà e di volare alto.

      murale tango di mario eremita presso casa campello venezia

      Il murale è stato eseguito in una residenza veneziana a pochi passi da Piazza San Marco, nel cuore della città storica in un contesto di tenore elevato elegante raffinato e sobrio. Colla sua potenza cromatica il murale “tango” si staglia anche se le tonalità assecondano quelle dei locali.

      murale tango di mario eremita presso casa campello venezia

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        header casa alacqua murale di mario eremita

        Casa Alacqua

        abbellimenti artistici dipinto murale presso Casa Alacqua Mestre Venezia “Concordia et Abundantia”

        Dipinto murale realizzato direttamente a parete con pitture speciali e foglia oro 24 kt. Le dimensioni complessive sono di circa metri 4 per 2,5. I soggetti sono figurativi e dedicati alla musica, simbolo dell’armonia ed alla cornucopia, simbolo dell’abbondanza.

        L’opera è stata trattata con tonalità del rosa e del grigio per emulare la pietra dura rodocrosite, secondo i desideri del committente dr. Alacqua.

        abbellimenti artistici mario eremita casa alacqua murales carpenedo mestre venezia

        La figura umana, nelle forme dei puttini e delle fanciulle, è il soggetto preferito da Mario Eremita. L’umanità attraversa integralmente tutta l’immaginazione di questo artista: dalla grazia all’apocalisse.

        Anche nei lavori commissionati, che necessariamente debbono essere eseguiti nel solco di precise esigenze, l’artista di valore è in grado di rendere il proprio personale tratto senza snaturarsi, bensì ampliando la codificazione.

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          header coltrina di venezia di mario eremita

          La Coltrina di Venezia

          la Coltrina di Venezia, dipinto su stoffa, palio della Regata Storica di Venezia.

          Opera realizzata da Mario Eremita per la Regata Storica di Venezia edizioni 2016/2020.

          Genesi dell’opera

          nella primavera del 2016 il delegato alle tradizioni Giovanni Giusto si rivolge al curatore della Galleria d’Arte III Millennio di Venezia dr. Nicola Eremita esprimendo il desiderio di realizzare un premio per i regatanti della Regata Storica. Egli pensa a un piccolo vessillo, un fazzoletto, da consegnare al primo classificato della regata maschile.

          Da quella primitiva idea il curatore immagina di dare forma ad una novella tradizione veneziana che possa nascere quel settembre del 2016 e proseguire quindi nel tempo. L’ispirazione viene dallo storico Palio di Siena. Nicola Eremita suggerisce quindi il nome de “La Coltrina di Venezia” per l’opera che esegue il maestro Mario Eremita. È qualcosa di molto diverso da ciò che ha abbozzato il sig. Giusto, qualcosa che può arricchire le tradizioni veneziane dando loro un taglio vivo e contemporaneo.

          Il delegato Giusto condivide informalmente l’idea e il maestro Mario Eremita esegue l’opera decidendo quindi di donarla al Comune di Venezia a patto che essa, dopo l’esposizione sulla Machina venga esposta stabilmente in una sede istituzionale di pubblico accesso.

          Oltre al nome “La Coltrina di Venezia”, Nicola Eremita indica anche una serie d’iniziative complementari necessarie ad assegnare alla nuova tradizione la continuità. Propone d’istituire un comitato per la selezione di nuove edizioni de “La Coltrina di Venezia” al fine di coinvolgere gli artisti. Propone quindi di creare col tempo uno spazio pubblico in cui esporre in maniera stabile le opere che col tempo si sarebbero moltiplicate e quindi di portarle in corteo in occasione della Festa della Sensa, del Redentore, della Regata Storica, della Festa di Santa Maria della Salute.

          Purtroppo tutte queste idee vengono lasciate cadere nel vuoto, si realizza un’unica edizione della Coltrina ( quella appunto del maestro Mario Eremita ) e nemmeno la richiesta dell’artista viene ottemperata. La Coltrina di Venezia rimane dal 2016 nell’ufficio del delegato Giusto, inaccessibile al pubblico e quindi oscurata e senza il riconoscimento che merita.

          Caratteristiche

          Pezza di stoffa dipinta dimensioni cm 139,5 x 228,50. È composta da stoffa in viscosa con numero sei frange di dimensioni cm 15 ( larghezza ) x 10,5 ( altezza ) e sei asole di sostegno nella parte alta di dimensioni cm 15 ( larghezza ) x 6,5 ( altezza ). L’opera è circondata per tutto il perimetro da un cordone in tessuto multicolore del diametro di cm 1.

          la coltrina di venezia di mario eremita per la regata storica di venezia
          Descrizione

          il dipinto intende solcare le tradizioni culturali e i simbolismi della Serenissima Repubblica di Venezia, storia di questo territorio e causa dell’esistenza della città lagunare e del suo ineguagliato contributo nello sviluppo sociale politico ed economico della comunità umana. Paragonabile solamente alla civiltà dell’antica grecia od a quella cinese. Sostituita, dalla fine del settecento, dalla civiltà anglosassone che oggi è l’unica legittima erede dello splendore veneziano. Non stupisce, infatti, il nesso culturale che mantiene tutt’oggi simbolicamente legate Venezia e New York.

          La Coltrina del Maestro Mario Eremita si caratterizza per una marcata simmetria frontale e per la posa ieratica di Venezia in omaggio agli avi bizantini. Dall’alto possiamo apprezzare la data 1489, anno in cui la Regina Cornaro di Cipro abdicò e fece ritorno a Venezia ricevendo un’accoglienza trionfale a bordo del Bucintoro, sfilò lungo il Canal Grande e ottenne il rango di Signora di Asolo rimanendole anche il titolo di Regina. Quella del 06 giugno 1489 fu una giornata memorabile e ad essa l’artista ha voluto dedicare questa Coltrina.

          la coltrina di venezia di mario eremita per la regata storica di venezia

          L’insieme rappresenta il Trono su cui siede Venezia; esso è realizzato nella bianca pietra d’istria con cui gran parte di Venezia è costruita. Ecco quindi il Leone Alato che occupa la parte alta del Trono. Esso è qui rappresentato non in fattezze antropomorfe ma nella reale costituzione morfologica di un leone africano, simbolo dell’Evangelista Marco. Si noti il ventre asciutto le zampe snelle ed atte alla corsa, l’ampia criniera. Il Leone è albino in omaggio alla pietra d’istria che fu il materiale privilegiato per la manifattura di questo importante simbolo, ed anche per delineare la particolarità e la rarità della sua progenie che si distingue. Entrambe le zampe anteriori del Leone poggiano sul libro che riporta la celebre frase latina: “pax tibi Marce Evangelista meus.”
          La pace sia con te o Marco, mio Evangelista. Tale posa intende rappresentare l’interezza del territorio veneziano, sia di terra che di mare e rafforzare il primario intento della Repubblica Serenissima che voleva il prevalere della diplomazia e dello scambio sull’uso della forza.

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          Il Leone si staglia sullo sfondo blu stellato, omaggio alla rappresentazione collocata sulla Torre dell’Orologio. Avanti e sotto il Leone ecco Venezia che siede regalmente. Indossa la corona che la rende Regina dell’Adriatico; indossa mantelli che richiamano i colori dell’aurora e del tramonto caratteristici della Laguna; quindi il colore rosso della bandiera con le sue tipiche decorazioni. La posa di Venezia è ieratica e decisa, impostata a significare la propria grandezza, potenza e grazia regale; ella apre le braccia esponendo al mondo il suo gioiello: l’accesso alla città dalla Piazzetta delle Colonne di San Marco e San Todaro, il Palazzo Ducale la Biblioteca Marciana e la Basilica. Nella mano destra regge lo scettro con i rami d’ulivo, simbolo del potere nella pace e, nella sinistra l’uroboro che simboleggia la circolarità del tempo. Il grembo verde-azzurro è del colore che simboleggia l’acqua della laguna e sulla veste di Venezia, più in basso, fluttuano le barche della Regata Storica, le Bissone, la Serenissima, i Gondolini, le Mascarete, i Pupparini, le Caorline. Più in basso il nizioleto con la dicitura “Venezia Regata Storica” e la firma dell’artista Mario Eremita. La cornice di foglie d’edera a simboleggiare la fedeltà e l’amore e la cornice di rami d’ulivo per la pace, inquadrano la composizione.

          Analisi dell’opera

          Il dipinto è di primario intento simbolico ed in particolare, interpreta la quieta e sicura potenza della Serenissima, rievocandone la gloria del suo massimo splendore originario che fu dal XIII secolo in poi.

          la coltrina di venezia di mario eremita per la regata storica di venezia

          In questo senso l’artista ha voluto riferirsi alla pittura bizantina ed a quella rinascimentale. Bizantina nelle pose ieratiche nella compostezza statuaria nelle simmetrie e nella sequenzialità espositiva; rinascimentale nel trattamento del colore, nello sfondamento prospettico ( la Piazzetta di San Marco ) e nell’uso di diversi piani; qui ve ne sono ben sette: lo sfondo blu notte, il trono, il leone, venezia, le vesti, san marco, le barche; pressocché sovrapposti, quasi livellati ma distintamente ben separati ed indipendenti seppur tenacemente armonizzati dal sublime uso del colore, dello sfumato, delle mezze tinte.

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          La sensazione che prova lo spettatore è di possanza; il desiderio di appartenenza a questa felice simbologia conquista e coinvolge. Particolare, il dinamismo delle ali del leone insieme alla vaporosa criniera, danno l’impressione che il felino sia in volo. L’acconciatura di Venezia si fa poi bandiera svolgendosi verso il basso come un fiume nascosto che sfoci nella laguna aperta; nascosto dalle aurore e dai tramonti veneziani interpretati dalle voluminose maniche drappeggiate.

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          Il volto è lineare fine e delicato ma fermo e deciso, ci osserva con fierezza ed olimpica calma. Dal grembo verde-azzurro emerge l’architettura pallida e onirica mentre sotto, le barche colorate, muovono alla volta del Canal Grande per svolgere la Regata fluttuando sulla veste che si fa acqua.

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          Lo sfondo blu notte riquadra appena gli angoli in alto rimarcando il contrasto tra buio e luce, quest’ultima incarnata dalla venezianità intera. L’opera è inconfondibilmente dell’artista Mario Eremita di cui originali e tipici sono gli stilemi: le forme degli arti, lo sfumato, la pittura di luce, le volumetrie ed i delicatissimi riferimenti simbolici presenti non solo nelle forme ma anche nel colore. La modalità di lettura dell’opera è dall’alto al basso.

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            Monumenti concept, glorioso cammino

            Premessa

            Gli artisti associati di CAOS si propongono per la progettazione e la realizzazione di monumenti celebrativi e commemorativi. Il tema è frutto della consultazione del committente e di un approfondito esame filologico teso ad individuare le caratteristiche formali, simboliche, allegoriche e contenutistiche dell’opera.

            La predilezione per temi figurativi, che diano quindi centralità alla figura umana, non preclude la possibilità di creazioni astratte, in particolare grazie alla collaborazione con l’architetto artista Michelangelo Eremita che ha sviluppato questo particolare genere di formalismo.

            Circa l’opportunità dell’arte nella vita quotidiana

            Nella storia la bellezza è un attributo o un valore estetico relativo, legato alle civiltà umane nel loro divenire. Essa non è un valore assoluto.

            Nell’arte la bellezza soggiace alla capacità dell’artista di costruire un sistema coerente di significati astratti, di concetti e di valori e soggiace anche alla capacità di trasmetterli integri e con estrema sintesi ed efficacia tali da raggiungere direttamente chi è in grado di coglierli.

            L’arte non ha bisogno di spiegarsi, non deve essere tradotta o interpretata; l’arte può essere letta capita accolta amata; ma, in essa, la bellezza è un valore assoluto.

            L’arte non trasmette valori soggettivi, essa non è etica; si rifà a regole basilari e fondamentali, misteriose, legate all’illusione, alla menzogna, al sogno, forse alle nostre paure ancestrali.

            Per questo espressioni belle dell’arte contengono messaggi che possono essere colti in ogni momento e ovunque assumendo tratti di assolutezza o dandone l’illusione.

            Le domande che dobbiamo porci e porre oggi ai nostri figli sono le seguenti:
            “quanta conoscenza dell’arte c’è in noi?”;
            “quanta di questa conoscenza è al servizio dell’uomo?”

            È necessaria una vera riflessione sulla necessità di conquistare una società umana basata sulla conoscenza e sull’arte; quindi una società oggettivamente bella.

            L’attenzione verso l’arte deve essere coltivata nei nostri figli fin dalla loro più tenera età. Dobbiamo portare i bambini nei musei, nelle pinacoteche, dobbiamo pretendere che le scuole forniscano insegnanti di Storia dell’Arte e non solo di Disegno; dobbiamo pretendere che questi insegnanti trasmettano l’amore per l’arte.

            Comprendere l’arte significa saper vedere e saper vedere è un obiettivo arduo da raggiungere; non basta, a volte, una vita. Bisogna quindi indicare la strada ai giovani affinché possano scegliere.

            Ipotesi e progetti per un rinascimento delle arti

            Oggi, non solo le Istituzioni Religiose o i Privati Collezionisti ma anche e forse soprattutto, gli Amministratori Pubblici, svolgono un’importante funzione nello sviluppo della sensibilità della gente nei confronti dell’arte. Loro hanno la possibilità di ricucire un’enorme frattura che dal XX secolo si è creata tra il popolo e l’arte contemporanea.

            L’arte deve ritornare vicino alla gente per porre le basi di una sua rinascita. Nella progettazione dei Piani Regolatori, delle zone residenziali e nella futura riprogettazione delle avvilenti zone industriali, recentemente sfiduciate dalle catastrofi naturali, si deve ritornare a porre al centro l’uomo e l’umanità e questo passa anche da un’attenta ricerca e selezione di artisti adatti a compiere delle opere che rendano coesa la comunità. Opere attorno alle quali la comunità umana possa stringersi, esattamente come accadeva nel nostro rinascimento con il contributo della Chiesa ma anche di illuminati e consapevoli Dominanti, come Federico da Montefeltro o Sigismondo Malatesta o Lorenzo Dei Medici.

            Tale lavoro ha delle forti basi politiche; chi vorrà assumersi questa piacevole ed avvincente responsabilità otterrà la storia. Chi sarà in grado di arricchire la comunità di ciò che è creato per essa e non di costruito per un preteso onore alla medesima “arte” avrà creato mille possibilità ai suoi concittadini.

            In queste pagine abbiamo voluto presentare alcuni bozzetti di grandi opere al solo fine di dare un’idea delle possibilità che offre l’immaginazione dell’artista Mario Eremita e dell’architetto artista Michelangelo Eremita.

            Il Glorioso Cammino

            Il concept prevede un’opera in bassorilievo incastonata in un fondo di mosaico marmoreo e vitreo.

            Questo ampio bassorilievo è dedicato alla memoria del Maresciallo Felice Maritano ma non vuole essere un monumento funebre o meramente commemorativo. Si tratta di un’opera di solido contenuto figurativo e simbolico che, tuttavia, intende affrontare la difficoltà dell’articolazione retorica, con particolare delicatezza originalità e discrezione, lasciando ampio spazio a sottili riferimenti all’arte greca e bizantina.

            L’esigenza primaria dell’artista è quella di comunicare ai famigliari dell’eroe, in particolare ai figli; di dare a loro per primi il fermo riconoscimento del valore della persona ben prima che del soldato e dell’ufficiale dell’Arma. Perché si nasce eroi, si nasce con quella particolare empatia che fa certe persone così speciali. Comunicando idealmente ai figli del Maresciallo, l’artista apre un dialogo con i giovani allievi sottufficiali della Scuola, che avranno avanti a loro un’opera dove la retorica muscolare è tralasciata, rispetto al primato della ragione e della lucida volontà, che sorge dalla mente e non dalla forza fisica.

            Ecco quindi l’esigenza figurativa e non concettuale o formalmente astratta. Ogni soggetto qui ha una sua esistenza, una sua tensione vitale, non sono semplici presenze fisiche ma esseri che vivono la loro personale esperienza nel mondo e che sono qui per un motivo che li accomuna in differenti modi, ognuno simbolico ed evocativo; ad esempio gli stessi cavalli hanno pose differenti che ne individuano la singola emotività. La simmetria assiale è seguita per dare il significato di ordine e solennità, pur venendo meno in prossimità dell’altare, dove, alla destra ed alla sinistra della Vittoria Alata, si presentano l’Italia Turrita ed il “Milite Simbolico” impersonato dalla figura mitologica di Ettore.

            Dando seguito alla lettura dell’opera, alle due estremità troviamo imponenti alberi: una quercia ed un olivo, che introducono subito l’idea naturalistica e vitale del contesto e rappresentano la solidità e la resilienza di una società basata sul diritto, oltreché evocare il potere dei valori della famiglia. La quercia ha numerose simbologie in varie culture e nella storia. Essa è considerata l’albero della vita, della saggezza, della forza, della capacità di superare momenti difficili. Le sue possenti chiome e poderose radici auspicano l’unità del focolare e la fertilità, intesa anche come significato astratto di fertilità d’idee e di valori. Nell’araldica la quercia è l’albero più nobile ed incarna i più positivi valori; tra i molti qui s’evidenzia quello dello spirito indomito e coraggioso. L’olivo, anch’esso, simboleggia valori positivi: la pace, la vittoria, la fama e la gloria immortale. Entrambe le piante sono rappresentate all’estremità per includere tutta la scena e dare ad essa un senso di raccoglimento spirituale e materiale all’interno di questi valori condivisi.

            Ai piedi degli alberi vi sono due grossi cani lupo, accucciati ma con le orecchie tese e lo sguardo vigile rivolto all’altare. Sono il simbolo della fedeltà ma anche dell’attenzione e dell’affezione verso la gerarchia e l’autorevolezza; essi, inoltre, impersonificano il ragionamento induttivo proprio dell’intuito originato dall’istinto. Questa è una qualità fondamentale per il capace uomo d’armi, per il talentuoso investigatore che dissolve le trame del male.

            Dopo il cane lupo seguono, per ogni lato, quattro gruppi di tre figure umane. I gruppi di tre hanno la funzione di evocare le tre forze dell’animo umano: intelligenza volontà memoria. I quattro gruppi simboleggiano tutto il creato: terra acqua aria fuoco. Il primo gruppo di tre è costituito da Carabinieri a Cavallo in Grande Uniforme con Lucerna. Qui interessante, come già accennato, è la posa dei destrieri, ognuno con la sua particolare emotività: c’è quello che vuole indietreggiare, quello che avanza, quello che morde le redini, quello che freme eccitato. Questi animali rappresentano il progresso dell’uomo nel suo duplice significato, positivo e negativo. Il primo come avanzamento tecnologico e scientifico, il secondo come travolgente impeto della guerra di conquista; ecco perché vanno trattenuti, controllati e saggiamente guidati dall’autorevolezza e dall’ordine del diritto e del potere esecutivo.

            Seguono i Carabinieri in Grande Uniforme con Lucerna e Sciabola; la loro posa è di guardia, conforme al protocollo militare; non salutano l’Ufficiale in quanto non vi sono di fronte ma al fianco e quindi sono nell’esatta posizione della vigilanza. Sono figure ieratiche come la Vittoria Alata; questo perché incarnano un’istituzione che dev’essere equa, neutrale, incorruttibile e fedele ai principi fondamentali che sono sanciti nella normativa morale, che sempre introduce ogni Regolamento dell’Arma. Dai Carabinieri in poi è costruita una struttura elevata che ha duplice funzione:

            1. tecnicamente, consente di mantenere lo svolgimento della scena sullo stesso piano visivo dei cavalieri e quindi di dare la necessaria rilevanza a ciò che si rappresenta;
            2. formalmente segna un passaggio, una transizione da valori terreni a valori spirituali, i tre carabinieri sono presidio di questa transizione.

            Tutta l’opera è costruita come un doppio climax che, dalle due estremità, procede verso il centro; un climax di emozioni e riferimenti simbolici.

            Procediamo.

            I carabinieri di guardia sono all’estremità della parte più centrale dell’opera perché questa contiene i riferimenti evocativi e rituali più pregnanti e particolari. Se gli alberi i cani i cavalli ed i cavalieri esponevano significati più ampi ed universali; dopo i carabinieri di guardia s’accede ad un mondo più spirituale. Ecco le tre figure femminili che suonano la tuba e i tre fanciulli che percuotono i tamburi. Sono adolescenti e bambini in abiti non moderni ma riferiti ad una realtà atemporale o mistica o mitologica. Le prime richiamano le Nikai, che incontrano gli eroi delle battaglie o gli eroi delle gare, fornendo loro i migliori auspici.

            Si sfuma qui il contatto con la contemporaneità ma, direi meglio, con la quotidianità. Entriamo nel mondo dei miti, popolato da entità quasi astratte o di cui il lontano ricordo ci ha lasciato solo l’aura del mito; ci avviciniamo all’altare di Maritano. L’artista ha inteso richiamare la musica in questo settore dell’opera, poiché essa è la sua seconda grande musa; ma anche perché è qui il ruolo fondamentale dell’armonia e del ritmo, nello scandire molti aspetti dell’agire umano. La battaglia, così come la gara, così come la crescita di un ragazzo, sono stabiliti con un particolare tempo, una particolare accordatura. Le donne dell’antichità scoprirono che, al battere del tamburo, la pianticella cresce meglio e più in fretta; cogliendone una misteriosa forza vitale, iniziarono ad usare questo strumento per accompagnare il passaggio all’aldilà o per richiamare le anime dal mondo dei morti in lunghe sedute sciamaniche. Intere civiltà usarono suoni ritmati e, potenti, rigorose, armonie per creare il timore nell’avversario, per moltiplicare il carisma dei condottieri e degli eserciti, per tenere alto il morale delle truppe.

            Ecco quindi i tre fanciulli coi tamburi. Dai buoni auspici, elevati con l’inno metallico della tuba delle Nikai, al risucchio soprannaturale dell’estasi ritmica con cui si concede al meritevole trapassato, ancora e per sempre, un afflato di forza vitale, al fine di mai rescindere il legame della vita; anzi, di rievocarne lo spirito e trasmetterlo, per empatia, a coloro che siano esposti ai battiti ritmati e tradotti in un’ideale armonia muta, i fruitori dell’opera ad esempio. Fanciulle e fanciulli fatti musici; perché sia dall’innocenza e dal candore di chi è ancora estraneo alle afflizioni umane, che provengano inni e ritmi. Quindi, come già enunciato, nessun riferimento funebre ma, semmai, molteplici riferimenti vitali e spirituali, con la più spontanea affezione per ciò che dello spirito è limpido ed universale.

            Oltrepassati i musici, entriamo nel vivo di una rappresentazione che si fa completamente ultraterrena e pienamente simbolica. Al centro di essa è collocato l’altare dedicato al Maresciallo Felice Maritano. È un luogo in cui converge ogni forza ed ogni valore evocato dall’opera; è il fulcro ed il punto di equilibrio di tutto; attorno ad esso è naturale che possano manifestarsi gli esiti di questi contenuti, come, nell’atto di sacrificio, si manifestò la somma spiritualità della forza morale e compassionevole; condotta lungo un’intera esistenza di rettitudine. Accade perciò che l’atmosfera sopra l’altare s’illumina di luce dorata; poco prima che lì d’appresso si materializzino due solenni figure puramente simboliche. A sinistra di chi osserva appare la personificazione dell’Italia Turrita che porta, nella man destra, il ramoscello di palma simbolo dei valori cristiani e del martirio; a destra di chi osserva si delinea il “Milite Simbolico” in vesti atemporali e mitiche, impersonificato da Ettore di Troia; colui che, per impedire al nemico il sopravvento, l’affronta facendo scudo alla sua gente. Queste due presenze s’approssimano discretamente all’altare mantenendo una leggera distanza di rispetto e tendono la mano verso la terza che, dopo di loro e grazie a loro, si svela: la Vittoria Alata emerge dall’altare con lunghe e lievi vesti e leggiadre ali; ma forti e delineate. Costei è in posa ieratica e muta, indifferente al censo al potere alle referenze, ella è la Vittoria del Giusto, non la vittoria del soverchiatore. Le sue mani porge ai due convenuti in segno di condivisione ma anche al fine di donare ad entrambi ancora un’altra luce. Ecco compiuta l’ultima e più cogente trinità: il senso della Patria, il senso della Giustizia, il senso del Sacrificio. Preziosi significati, del tutto astratti e, quindi, delicati e fragili, se non conservati e tramandati con convinzione ed amore; non imposti od inculcati con roboante retorica ma offerti alla comprensione con pazienza, rispetto ed empatia, in un mondo in continuo e controverso cambiamento, con la certezza che siano valori immortali e universali, con la consapevolezza che sempre essi saranno aggrediti e vilipesi; ma che solamente l’integrità e l’umanità dei loro promulgatori e dei loro difensori potrà tramandare, migliorandoli.

            Quest’opera è quindi un cammino verso l’astrazione che, dai valori più concreti e terreni ( alberi cani cavalli ) porta ai valori più alti ed ideali ( patria giustizia sacrificio ), cammino che, dalla forza della fisicità porta alla forza della mente e della spiritualità; cammino che, nella delicata e discreta rappresentazione plastica, evidenzia tutta la sua fragilità ed impermanenza, se esso rimane privo del contributo delle persone comuni. Le idee ed i valori viaggiano sempre sulle gambe delle persone.

            La cromaticità dell’opera è minima per esaltarne il rigore e conferire il tono drammatico, bilanciando la dolcezza delle figure. Lo sfondo musivo è in tonalità di marmo grigio/verde e grigio/blu a sfumare; mentre la parte sovrastante l’altare è in mosaico vitreo con oro 24kt al fine di dare sacralità e luminosità al fulcro dell’intero lavoro. Le sculture in bassorilievo sono sostanzialmente monocromatiche.

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              Monumenti concept, Tanit e l’aquila

              Premessa

              Gli artisti associati di CAOS si propongono per la progettazione e la realizzazione di monumenti celebrativi e commemorativi. Il tema è frutto della consultazione del committente e di un approfondito esame filologico teso ad individuare le caratteristiche formali, simboliche, allegoriche e contenutistiche dell’opera.

              La predilezione per temi figurativi, che diano quindi centralità alla figura umana, non preclude la possibilità di creazioni astratte, in particolare grazie alla collaborazione con l’architetto artista Michelangelo Eremita che ha sviluppato questo particolare genere di formalismo.

              Circa l’opportunità dell’arte nella vita quotidiana

              Nella storia la bellezza è un attributo o un valore estetico relativo, legato alle civiltà umane nel loro divenire. Essa non è un valore assoluto.

              Nell’arte la bellezza soggiace alla capacità dell’artista di costruire un sistema coerente di significati astratti, di concetti e di valori e soggiace anche alla capacità di trasmetterli integri e con estrema sintesi ed efficacia tali da raggiungere direttamente chi è in grado di coglierli.

              L’arte non ha bisogno di spiegarsi, non deve essere tradotta o interpretata; l’arte può essere letta capita accolta amata; ma, in essa, la bellezza è un valore assoluto.

              L’arte non trasmette valori soggettivi, essa non è etica; si rifà a regole basilari e fondamentali, misteriose, legate all’illusione, alla menzogna, al sogno, forse alle nostre paure ancestrali.

              Per questo espressioni belle dell’arte contengono messaggi che possono essere colti in ogni momento e ovunque assumendo tratti di assolutezza o dandone l’illusione.

              Le domande che dobbiamo porci e porre oggi ai nostri figli sono le seguenti:
              “quanta conoscenza dell’arte c’è in noi?”;
              “quanta di questa conoscenza è al servizio dell’uomo?”

              È necessaria una vera riflessione sulla necessità di conquistare una società umana basata sulla conoscenza e sull’arte; quindi una società oggettivamente bella.

              L’attenzione verso l’arte deve essere coltivata nei nostri figli fin dalla loro più tenera età. Dobbiamo portare i bambini nei musei, nelle pinacoteche, dobbiamo pretendere che le scuole forniscano insegnanti di Storia dell’Arte e non solo di Disegno; dobbiamo pretendere che questi insegnanti trasmettano l’amore per l’arte.

              Comprendere l’arte significa saper vedere e saper vedere è un obiettivo arduo da raggiungere; non basta, a volte, una vita. Bisogna quindi indicare la strada ai giovani affinché possano scegliere.

              Ipotesi e progetti per un rinascimento delle arti

              Oggi, non solo le Istituzioni Religiose o i Privati Collezionisti ma anche e forse soprattutto, gli Amministratori Pubblici, svolgono un’importante funzione nello sviluppo della sensibilità della gente nei confronti dell’arte. Loro hanno la possibilità di ricucire un’enorme frattura che dal XX secolo si è creata tra il popolo e l’arte contemporanea.

              L’arte deve ritornare vicino alla gente per porre le basi di una sua rinascita. Nella progettazione dei Piani Regolatori, delle zone residenziali e nella futura riprogettazione delle avvilenti zone industriali, recentemente sfiduciate dalle catastrofi naturali, si deve ritornare a porre al centro l’uomo e l’umanità e questo passa anche da un’attenta ricerca e selezione di artisti adatti a compiere delle opere che rendano coesa la comunità. Opere attorno alle quali la comunità umana possa stringersi, esattamente come accadeva nel nostro rinascimento con il contributo della Chiesa ma anche di illuminati e consapevoli Dominanti, come Federico da Montefeltro o Sigismondo Malatesta o Lorenzo Dei Medici.

              Tale lavoro ha delle forti basi politiche; chi vorrà assumersi questa piacevole ed avvincente responsabilità otterrà la storia. Chi sarà in grado di arricchire la comunità di ciò che è creato per essa e non di costruito per un preteso onore alla medesima “arte” avrà creato mille possibilità ai suoi concittadini.

              In queste pagine abbiamo voluto presentare alcuni bozzetti di grandi opere al solo fine di dare un’idea delle possibilità che offre l’immaginazione dell’artista Mario Eremita e dell’architetto artista Michelangelo Eremita.

              Tanit e l’aquila

              La scultura in bronzo rappresenta una figura femminile ( Tanit, dea della fertilità cartaginese ) con alcuni riferimenti agli abiti tradizionali sardi che emerge da un’intricata impalcatura corallina.

              La scultura in bronzo è modellata in creta e successivamente preparata per la fusione a cera persa; ne sarà eseguito un solo esemplare, dopodiché il modello in creta sarà distrutto. Dopo le opportune rifiniture la statua verrà lucidata conservandone le leggere incrostazioni del verde naturale dell’ossidazione.

              monumenti concept e progetti mario e michelangelo eremita

              Il basamento si integra con l’opera fornendo ad essa un sostegno dinamico fortemente aggettante ed allungato. Questo elemento verticale, non ortogonale al suolo, segue una traiettoria sinuosa ed evoca il nesso tra i movimenti naturali del mare e del cielo; al suo apice si colloca un capitello di vaga somiglianza ionica.

              monumenti concept e progetti mario e michelangelo eremita

              Si tratta di un’opera che propone le istanze dell’arte figurativa simbolista. Il corpo umano, sempre osservato dal basso verso l’alto, segue un andamento spiraliforme che, dalle radici dei coralli, si dispiega fino al braccio destro, proteso in alto, sul quale poggia l’aquila reale sarda in procinto di spiccare il volo.

              monumenti concept e progetti mario e michelangelo eremita

              Il tema portante è la fertilità, che pone le sue origini nel mare, diviene corallo, prezioso sostegno per il simbolo terreno ed umano della fertilità e quindi s’incarna in quello stesso simbolo nella figura femminile che è, a sua volta, fulcro dell’anelito al volo del nobile volatile dell’isola. Il basamento ha il compito di elevare l’insieme della figura simbolica al fine di caricarla di tensione drammatica, valenza spirituale e sottile connotazione surrealistica.

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                Monumenti concept, miliana papilion hospiton

                Premessa

                Gli artisti associati di CAOS si propongono per la progettazione e la realizzazione di monumenti celebrativi e commemorativi. Il tema è frutto della consultazione del committente e di un approfondito esame filologico teso ad individuare le caratteristiche formali, simboliche, allegoriche e contenutistiche dell’opera.

                La predilezione per temi figurativi, che diano quindi centralità alla figura umana, non preclude la possibilità di creazioni astratte, in particolare grazie alla collaborazione con l’architetto artista Michelangelo Eremita che ha sviluppato questo particolare genere di formalismo.

                Circa l’opportunità dell’arte nella vita quotidiana

                Nella storia la bellezza è un attributo o un valore estetico relativo, legato alle civiltà umane nel loro divenire. Essa non è un valore assoluto.

                Nell’arte la bellezza soggiace alla capacità dell’artista di costruire un sistema coerente di significati astratti, di concetti e di valori e soggiace anche alla capacità di trasmetterli integri e con estrema sintesi ed efficacia tali da raggiungere direttamente chi è in grado di coglierli.

                L’arte non ha bisogno di spiegarsi, non deve essere tradotta o interpretata; l’arte può essere letta capita accolta amata; ma, in essa, la bellezza è un valore assoluto.

                L’arte non trasmette valori soggettivi, essa non è etica; si rifà a regole basilari e fondamentali, misteriose, legate all’illusione, alla menzogna, al sogno, forse alle nostre paure ancestrali.

                Per questo espressioni belle dell’arte contengono messaggi che possono essere colti in ogni momento e ovunque assumendo tratti di assolutezza o dandone l’illusione.

                Le domande che dobbiamo porci e porre oggi ai nostri figli sono le seguenti:
                “quanta conoscenza dell’arte c’è in noi?”;
                “quanta di questa conoscenza è al servizio dell’uomo?”

                È necessaria una vera riflessione sulla necessità di conquistare una società umana basata sulla conoscenza e sull’arte; quindi una società oggettivamente bella.

                L’attenzione verso l’arte deve essere coltivata nei nostri figli fin dalla loro più tenera età. Dobbiamo portare i bambini nei musei, nelle pinacoteche, dobbiamo pretendere che le scuole forniscano insegnanti di Storia dell’Arte e non solo di Disegno; dobbiamo pretendere che questi insegnanti trasmettano l’amore per l’arte.

                Comprendere l’arte significa saper vedere e saper vedere è un obiettivo arduo da raggiungere; non basta, a volte, una vita. Bisogna quindi indicare la strada ai giovani affinché possano scegliere.

                Ipotesi e progetti per un rinascimento delle arti

                Oggi, non solo le Istituzioni Religiose o i Privati Collezionisti ma anche e forse soprattutto, gli Amministratori Pubblici, svolgono un’importante funzione nello sviluppo della sensibilità della gente nei confronti dell’arte. Loro hanno la possibilità di ricucire un’enorme frattura che dal XX secolo si è creata tra il popolo e l’arte contemporanea.

                L’arte deve ritornare vicino alla gente per porre le basi di una sua rinascita. Nella progettazione dei Piani Regolatori, delle zone residenziali e nella futura riprogettazione delle avvilenti zone industriali, recentemente sfiduciate dalle catastrofi naturali, si deve ritornare a porre al centro l’uomo e l’umanità e questo passa anche da un’attenta ricerca e selezione di artisti adatti a compiere delle opere che rendano coesa la comunità. Opere attorno alle quali la comunità umana possa stringersi, esattamente come accadeva nel nostro rinascimento con il contributo della Chiesa ma anche di illuminati e consapevoli Dominanti, come Federico da Montefeltro o Sigismondo Malatesta o Lorenzo Dei Medici.

                Tale lavoro ha delle forti basi politiche; chi vorrà assumersi questa piacevole ed avvincente responsabilità otterrà la storia. Chi sarà in grado di arricchire la comunità di ciò che è creato per essa e non di costruito per un preteso onore alla medesima “arte” avrà creato mille possibilità ai suoi concittadini.

                In queste pagine abbiamo voluto presentare alcuni bozzetti di grandi opere al solo fine di dare un’idea delle possibilità che offre l’immaginazione dell’artista Mario Eremita e dell’architetto artista Michelangelo Eremita.

                Miliana Papilion Hospiton

                La scultura in bronzo rappresenta una figura femminile vestita da un chitone e da un peplo intessuti di corallo che elegantemente allarga le braccia mentre sulla mano destra solleva la farfalla “Papilio Hospiton” per invitarla a spiccare il volo, la farfalla in oggetto è un simbolo della Sardegna ed è a rischio estinzione.

                La Scultura in Bronzo verrà modellata in creta e successivamente preparata per la fusione in bronzo a cera persa; ne sarà eseguito un solo esemplare, dopodiché il modello in creta sarà distrutto.

                Dopo le opportune rifiniture la statua verrà lucidata conservandone le leggere incrostazioni del verde naturale dell’ossidazione. Il basamento non ha solamente la funzione di sostegno ma anche quella di rappresentare, nella parte bassa, la pianta di alloro, simbolo di eccellenza di gloria e di vittoria. Esso riporta nell’affusto le scanalature e le decorazioni di vago riferimento classico.

                monumenti concept e progetti mario e michelangelo eremita

                Si tratta di un’opera che propone le istanze dell’arte figurativa simbolista. La figura femminile è denominata Miliana che, nella terminologia della flora significa alloro o sambuco agreste.

                monumenti concept e progetti mario e michelangelo eremita

                La figura umana, ergendosi sopra una pianta d’alloro che simboleggia l’eccellenza la gloria e la vittoria, ha le braccia aperte come a imitare il volo planato delle farfalle mentre sulla punta delle dita della mano sinistra accoglie appunto una Papilio Hospiton, insetto volante sardo a rischio d’estinzione, che invita dolcemente a spiccare il volo.

                La figura femminile indossa un chitone e un peplo intrecciati di coralli, riferimenti alla preziosità del mare sardo.

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