Inno alla Vita, 1/3 prova d’autore

Scultura monumento in bronzo a cera persa, Merlengo di Ponzano Veneto

Il progetto prevede la creazione dal calco di 9 esemplari di cui 3 prove d’autore. La prima prova d’autore è stata donata dall’artista alla Parrocchia di Merlengo.

Questa grande scultura fu modellata in una forma di gesso dall’artista Maestro Mario Eremita nel Laboratorio di Merlengo di Ponzano Veneto nel 1992.

Il Parroco Don Eraldo Modolo desiderava lasciare alla comunità pastorale, un’opera d’arte contemporanea significativa e preziosa che parlasse direttamente al cuore della gente. Egli quindi raccolse una colletta per garantire le spese vive dell’artista: il lavoro dei fonditori e l’acquisto dei materiali, Eremita non ricevette alcun compenso.

La seconda prova d’autore venne acquisita nel 2006 da un collezionista di Ferrara che la volle sistemare nel parco della propria villa.

Attualmente devono essere realizzati gli ultimi sette esemplari tra i quali una prova d’autore, essi saranno creati solamente su commissione.

Ogni esemplare, essendo l’opera realizzata in 9 esemplari di cui tre prove d’autore è, secondo le convenzioni e gli usi del mercato dell’arte, da considerarsi un pezzo unico.

nota critica

Nota critica

Chiave di lettura; dal basso verso l’alto.

Una maestosa colonna vegetale avvitata in un delicato movimento a spirale che richiama la chimica di base della vita, sorregge il corpo sensuale della fanciulla eterna.

Il corpo è magnificamente teso ed intento all’instancabile all’attamento. Quest’opera è un’imponente affermazione dell’essere, nella sua completezza.

Il volto della donna è rapito, sgomento nell’osservare come, appena vi sono le minime condizioni, la vita attecchisca e si accresca tenace, forte, aggressiva.

Infine, in pochi istantanei centimetri si sviluppa la fuga prospettica, il climax. Il capo della fanciulla contrasta con la solidità corporea. Esso fugge dalla vita terrena; conduce al termine estremo.

È qui una forma vitale deformata dalla compenetrazione astratta del pensiero, che ricerca la vita ultraterrena e lo smarrimento mistico. Il volto è teso, le ossa evidenti, le orbite vuote, il cranio allungato verso l’alto; quindi non più spinto dal basso ma assorbito verso l’alto.

Avere questa scultura in piazza, davanti alla Chiesa, dove ogni settimana si riuniscono i fedeli, è un modo per suggerire alle persone una visione diversa della donna, della madre, del mondo, della vita. Ognuno di noi ha visto questa scultura, qualcuno si pone delle domande, qualcuno si dà delle risposte. Eppure quest’opera rappresenta una semplice donna di fede che porta il figliolo al cospetto del Signore.

C’è tuttavia qualcosa in più. In genere si può dire che ci sia tutto; ed in effetti è così. Quest’enorme colonna vegetale da cui emerge, con una potente spirale dinamica, il corpo sensuale della femmina intenta all’allattamento. Ecco, non è più una semplice ragazza che allatta il piccolo. È un significato vitale:
le radici, l’albero della vita, la spirale della vita, le forme sontuose e piene della donna che genera vita, i fianchi poderosi, il petto turgido; questi sono forti e inequivocabili richiami sessuali.

La sessualità è la chiave della vita, il piacere sessuale per l’umanità è la ricompensa della vita. La donna è al centro della sessualità. Non esiste simmetria tra uomo e donna. La donna è il significato della vita e per l’artista è l’unica speranza di riscatto.

Il figliolo in braccio alla madre è cresciuto, ha superato l’età per l’allattamento ma ancora dipende dal seno materno. Un tempo ignoranza, privazioni e miseria costringevano le mamme a prolungare l’allattamento.

Unica vera citazione simbolica della scultura, questa delicata testimonianza del passato ha anche un significato minaccioso; forse un’ossessione vitale:
lo sgomento nell’osservare come, appena vi sono le minime condizioni, la vita attecchisca e sia tenace, forte, aggressiva.

Infine osservate la fuga prospettica. Già è presente, in climax, nelle braccia e nelle mani: esse si fanno snelle, filiformi, astratte. Contrastano con la solidità corporea, vogliono sganciarsi dalla vita terrena. Il viso e il capo della donna conducono a termine questa “fuga”.

La figura non è qui più una forma vitale ma è deformata dalla compenetrazione astratta che vuole portare slancio alla ricerca della supposta vita ultraterrena o dello smarrimento mistico. Il volto assume aspetti estremi e la pelle è tesa e rende evidenti le ossa, le orbite appaiono già vuote, il cranio è allungato verso l’alto, come assorbito da una misteriosa forza d’attrazione, verso il cielo, l’ignoto, la risposta ultima:
Dio?

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